Nove mesi: la nascita di "Via Da Me"

“Via Da Me” è nata in nove mesi. Come un bambino. Anche se per scrivere la musica e  poi il testo ci ho impiegato complessivamente un’ora, ci sono stati nove mesi di gestazione. Da qualche parte ho letto che anche un'arancia ci mette nove mesi a maturare. Un arancia. Dolce e succosa, ricca di vitamina C. Ascoltando questa canzone ti passerà il raffreddore. 
Era Capodanno. Mi ero "intrattenuto" con una ragazza o lei si era “intrattenuta” con me e a un certo punto mi espresse il desiderio di voler cantare. Perché no? A me piace avverare i desideri. Le diedi appuntamento nel mio studio un paio di giorni dopo. Ero molto raggiante per questo. Così allegro che quel pomeriggio camminavo baldanzoso e spedito. La felicità ti fa volare. Faceva un freddo boia a Milano e all’angolo con la via dello studio, mi giunse inaspettata, da dove chi lo sa, la melodia. Ricordo esattamente il momento e il luogo. Allora c’era una banca, oggi c’è un ristorante, sempre una mangiatoia quindi, dovevo prelevare ma scartai l’idea e mi precipitai in studio canticchiando la melodia per non dimenticarla. Il tempo di varcare il cancello, fare le scale di corsa, aprire lo studio, accendere le apparecchiature, mettermi alla tastiera e registrare le note, trovare gli accordi, aggiungere batteria, basso e un’idea di chitarra, che era pronta. Sì, mancavano le parole, ma la canzone c’era. Mezz’ora prima non esisteva, mezz’ora dopo era con noi. Fantastico! E’ una cosa meravigliosa credetemi. Quando ti capitano queste cose possono pure tirare un’atomica, non te ne frega niente. Sei pervaso dalla gioia. Mi sembrava di avere iniziato l’anno in un modo bellissimo ma le fregature dovevano arrivare. Intanto la signorina non si presentò, non mi chiamò, non la rividi mai più. Mi fece proprio un bel pacco. E la felicità della giornata lentamente svanì. Nei giorni seguenti provai a scrivere il testo. Ma non usciva. Avevo scritto delle parole ma non mi piacevano. Per me le parole sono importanti. Ogni verbo, ogni frase è pensata, è sentita. A volte ho perso una settimana su una parola. Mi ricordo un musicista, che mi aveva incaricato di scrivere le parole su una sua canzone che doveva portare a un produttore il giorno dopo, che mi accusava di non essere un autore perché secondo la sua idea, gli autori di canzoni scrivono velocemente. A parte l’idea che il tempo sia relativo, ogni canzone è una cosa a sé. Alcune arrivano in un giorno, alcune dopo anni. Non c'è una regola. L’arte non è fabbricare un frigorifero o aggiustare il lavandino, tra l'altro cose forse più utili di una canzone. Quella sera non avevo in mente nulla, mi sforzai e gli scrissi un testo. Senza ispirazione, senza cuore. Non mi piaceva. Una vera cagata. Ogni canzone è come la prima volta. Devo sentire il brivido. Mi devo emozionare io, per primo. Se non c'è il brivido è altra pattumiera che si aggiunge a quella già esistente. Tornai ancora sulle parole di “Via Da Me” che non s’intitolava ancora così, ma non veniva niente e allora la misi da parte. Forse aveva ragione chi mi diceva che non ero un autore. Nel frattempo mi stava scadendo il contratto al lavoro. Il direttore all’inizio, quando avevo firmato, mi aveva assicurato che poi l’avrebbe rinnovato ma le cose erano cambiate. Il mercato era cambiato. Così mi ritrovai nel giro di un mese senza lavoro. E va bè non era la prima volta. Ma questa volta mi sembrava di avere accusato il colpo. Rispetto alle volte precedenti il lavoro era migliore, l’ambiente, i colleghi erano migliori, gli orari erano umani. Stavo bene. Trovarne un altro così non mi sembrava semplice. Entrai in una spirale negativa. Le settimane passavano e non trovavo niente. I soldi stavano finendo. Incontrai una ragazza, ci frequentammo qualche mese. La nostra relazione era influenzata dalla mia situazione economica. Cioè io ero influenzato dalla mia situazione economica e io influenzavo la relazione. Quindi a un certo punto lei chiuse. Le cose si sommavano. Non ero autore, non avevo un lavoro, non avevo una ragazza. Mi sembrava di non avere più niente. Provai con lei in tutti i modi a recuperare. Fu inutile. La spirale divenne sempre più nera. Se avessi avuto un mitra, in quel periodo avrei potuto fare un giorno di ordinaria follia. Ero incazzato. Ero intrattabile, me la prendevo con tutti, mi sembrava di essere diventato la peggiore persona al mondo. Dovevo andarmene. Dove? Ero senza soldi, senza idee, senza speranza. Non vedevo il mare da anni, non andavo in vacanza da anni. Avevo bisogno di aria sana, della città non ne potevo più. Dio mi venne in aiuto. Avevo un’amica, Valentina, che lavorava in Spagna. La chiamai. Era contenta di sentirmi, forse non ero la peggiore persona al mondo se qualcuno era ancora contento di sentirmi. Mi disse che stava lavorando lì anche un mio amico, un mio amico d’infanzia che anni prima aveva lasciato l’Italia per trasferirsi in Spagna. “Domani lo vedo e ti faccio chiamare”. Gianni mi chiamò il giorno dopo. Anche lui era contento di sentirmi. Mi disse che aveva appena trovato una casa per tutta l’estate, era fine maggio, una casa per tre persone. Un amico ce l’aveva già, avrebbe preferito che la terza persona fosse qualcuno di cui fidarsi. Dai vieni, mi disse, un lavoro qui poi lo trovi. Partii, trovai un lavoro come parcheggiatore, a ridosso della spiaggia. 10 ore al giorno sotto il sole cocente delle Baleari, ma avevo davanti il mare blu e sopra il cielo azzurro. Non c’era il grigio topo di Milano. Non c’erano palazzi, case, strade, semafori, esauriti che corrono per prendere il metro, nonostante ce ne sia uno ogni due minuti. Sì, gli altri erano in vacanza mentre io lavoravo ma chissenefrega. Io dovevo guarire. Guarivo lavorando. Questo non l’avete mai sentita, dite la verità! Stavo imparando una nuova lingua, conoscevo tanta gente nuova, con i ragazzi e le ragazze al lavoro andavo d’accordo, eravamo una bella squadra. Io ero l’unico italiano, tra spagnoli, catalani, brasiliani, algerini. Mi sembrava di essere all’ONU. Ogni mattina andavo al lavoro in bicicletta, me l’aveva prestata Valentina, la bici del suo amato papà e arrivò il giorno del primo stipendio. Potevo pagare l’affitto a Gianni, potevo restituire i soldi del biglietto aereo che Valentina mi aveva anticipato, potevo mandare i soldi a casa per coprire lo scoperto che avevo fatto in banca. Era la prima volta da mesi che vedevo dei soldi. Ero così felice. Mi sentivo come il giorno che stavo andando in studio e dovevo incontrare la ragazza con cui mi ero “intrattenuto” a Capodanno. Soldi e donne fanno bene allo spirito. E la mattina dopo avvenne. Ero in bici e stavo andando al lavoro. Ero carico, potevo vincere una tappa del Tour de France, ma ero in Spagna, quindi una tappa della Vuelta. Ricordo esattamente il momento e il luogo. Stavo costeggiando le Salinas, le nuvole che si diradavano, la luce del sole del mattino, l’aria ancora fresca sulla pelle, quando mi vennero le parole: “E intanto qui si va avanti, tra illusioni e rimpianti”, e più pedalavo più sgorgavano frasi che si incastonavano perfettamente nella melodia. Quando arrivai al punto in cui ogni mattina c’incontravamo tutti quanti per berci un caffè, chiacchierare e ridere prima di dirigersi ognuno al proprio posto, io tirai dritto tra lo stupore di tutti, ero in pieno di flusso creativo, urlai solo: “Disculpa”, per scusarmi. Poi mi feci dare una penna dal ragazzo del bar e su un paio di tovaglioli scrissi tutte le parole. Era passata mezz’ora e la canzone era fatta, quasi fatta. Tutte le parole mi piacevano. Quando tornai a casa agli inizi di ottobre diedi gli ultimi ritocchi e la terminai. Erano passati nove mesi. Forse non ero un autore di canzoni, come mi accusava quel musicista, perché avevo scritto una canzone in nove mesi, ma tu puoi dire a una madre che non è una madre perché per nove mesi va in giro col pancione prima di mettere al mondo una creatura che renderà felici tutti quelli che gli sono intorno? Puoi imputare a un'arancia di non essere un'arancia perché se ne sta per nove mesi attaccato a un ramo a crescere prima di essere buono da mangiare, donando poi così la sua dolcezza e le sue vitamine a chi l’addenterà? 
Per il resto tutti quanti abbiamo bisogno del nostro tempo. Ognuno ha il suo tempo. Ma nello sfondo dell’eternità a cui siamo destinati, che cos’è un giorno, un mese o un anno? 
Ciò che conta è adesso. E adesso la canzone c'è. E per sempre.

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